È solo un motto ma la sua tradizione, ormai parecchio risalente, e diffusione, direi capillare, perchè non c’è studente di giurisprudenza in Italia che non l’abbia mai sentito, ne dimostrano un certo fondamento di verità.
È anche piuttosto facile trovare la ragione di un tale fondamento: più o meno tutti gli studenti approcciano i due esami dopo aver superato quelli storici e di diritto costituzionale, che, a loro confronto, sono semplici passeggiate domenicali, laddove quelli, invece, sono maratone, a piedi nudi, in salita. La differenza è che nell’affrontare lo studio del Codice civile e del Codice penale lo studente si trova, per la prima volta, a dover acquisire un vocabolario e un linguaggio tecnico e, soprattutto, un modo totalmente nuovo di ragionare e di guardare alla realtà che lo circonda; si può così dire che, una volta superati i due esami, lo studente, se non proprio mezzo avvocato, di sicuro è già diventato un giurista.
Da giurista a dottore in giurisprudenza ancora ce ne passa, non fosse altro per le procedure e per tutti gli altri esami di diritto di questo, di quello e di quest’altro, ancora da superare, senza contare la tesi di laurea. Ma certamente, con la compulsazione dei due codici, la trasformazione antropologica dello studente in giurista è ormai compiuta e irreversibile.
Ma allora quand’è che il dottore in giurisprudenza diviene avvocato?
Tralasciando gli altri percorsi possibili (riservati a coloro che hanno svolto le funzioni di magistrato ordinario, di magistrato militare, di magistrato amministrativo o contabile, o di avvocato dello Stato, e ai professori universitari di ruolo, dopo cinque anni di insegnamento di materie giuridiche), ottenuto il diploma di laurea, il dottore può chiedere al Consiglio dell’ordine degli avvocati del circondario nel quale intende stabilire il proprio domicilio professionale l’iscrizione al registro dei praticanti. Una volta verificato il possesso degli altri requisiti necessari oltre alla laurea in giurisprudenza (tra gli altri: il pieno esercizio dei diritti civili; il non trovarsi in alcuna condizione di incompatibilità; non essere sottoposto ad esecuzione di pene detentive, di misure cautelari o interdittive; non avere riportato condanne per i reati di cui all’articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale e per quelli previsti dagli articoli 372, 373, 374, 374-bis, 377, 377-bis, 380 e 381 del codice penale; essere di condotta irreprensibile secondo i canoni previsti dal codice deontologico forense), il dottore in giurisprudenza diviene praticante avvocato.
Con l’iscrizione al registro il praticante avvocato comincia l’addestramento, a contenuto teorico e pratico, della durata continuativa di almeno diciotto mesi, finalizzato a fargli conseguire le capacità necessarie per l’esercizio della professione di avvocato e per la gestione di uno studio legale nonché a fargli apprendere e rispettare i principi etici e le regole deontologiche.
Trascorsi sei mesi dalla sua iscrizione nel registro dei praticanti, il praticante avvocato acquisisce una prima, limitata, abilitazione all’esercizio dell’attività professionale, sotto il controllo e la responsabilità dell’avvocato presso il quale svolge la pratica.
Diventa così praticante avvocato abilitato.
Compiuto il tirocinio professionale il praticante è ammesso a sostenere l’esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio della professione di avvocato. L’esame si articola in tre prove scritte ed in una prova orale. Le prove scritte hanno per oggetto: la redazione di un parere motivato in materia regolata dal codice civile, la redazione di un parere motivato in materia regolata dal codice penale, la redazione di un atto giudiziario in una materia a scelta tra il diritto privato, il diritto penale ed il diritto amministrativo. Nella prova orale il candidato deve invece dimostrare la conoscenza delle seguenti materie: ordinamento e deontologia forensi, diritto civile, diritto penale, diritto processuale civile, diritto processuale penale; nonché di altre due materie, scelte preventivamente dal candidato, tra le seguenti: diritto costituzionale, diritto amministrativo, diritto del lavoro, diritto commerciale, diritto comunitario ed internazionale privato, diritto tributario, diritto ecclesiastico, ordinamento giudiziario e penitenziario.
Formalmente dunque il dottore in giurisprudenza diventa avvocato nel momento in cui supera la prova orale dell’esame di Stato anche se la legge distingue ancora il momento in cui il dottore acquisisce il titolo di avvocato da quello, successivo, in cui può effettivamente esercitare la professione e che coincide, invece, con l’assunzione dinanzi al consiglio dell’ordine in pubblica seduta dell’impegno di osservare i relativi doveri, secondo la formula: “Consapevole della dignità della professione forense e della sua funzione sociale, mi impegno ad osservare con lealtà, onore e diligenza i doveri della professione di avvocato per i fini della giustizia ed a tutela dell’assistito nelle forme e secondo i principi del nostro ordinamento”.
In estrema sintesi è questa la trafila burocratica che conduce lo studente a divenire avvocato, passando per le forme intermedie di giurista, dottore in giurisprudenza, praticante avvocato, praticante avvocato abilitato e candidato all’esame di Stato.
Certo che, al netto delle formalità e dei formalismi, un percorso così lungo e intricato garantisce di per sè che chiunque giunga al suo termine sia sufficientemente motivato e abbia acquisito, prima o dopo, in un modo o nell’altro, tutte le competenze e le esperienze necessarie e sufficienti per esercitare la professione forense senza causare danni al sistema. A questo punto risulta perciò ozioso chiedersi se a fare l’avvocato sia stato più il percorso universitario, l’addestramento professionale, l’esame di stato o l’assunzione dell’impegno solenne di fronte al consiglio dell’ordine di appartenenza, perchè, con tutta probabilità, il risultato sarà dovuto all’insieme di tutti i fattori.
Personalmente, però, ritengo che a fare di me un avvocato siano stati i cento giorni trascorsi tra la pubblicazione dei risultati delle prove scritte e la data in cui ho sostenuto la prova orale. Sia chiaro che ogni tratto del percorso è stato fondamentale e che non sarò mai abbastanza grato al mio dominus per i preziosi insegnamenti che mi ha impartito, anche solo con l’esempio, in tutto il periodo della mia pratica professionale. Riconosco tuttavia che sono stati quei giorni, a cavallo tra l’estate e l’autunno, dedicati esclsuivamente allo studio e alla riflessione, a compiere in me quel processo di trasformazione che mi ha fatto divenire avvocato. In quei giorni ho potuto ristudiare le materie universitarie con i nuovi occhi del pratico, con una maggiore comprensione dovuta alle tante esperienze vissute durante l’addestramento. Allo stesso modo ho fatto completamente mio il codice deontologico, approfondendone i principi teorici dopo averla vista praticare dal mio dominus e dai colleghi.
Soprattutto in quei lunghi giorni di cui non si vedeva la fine e nelle notti insonni popolate dall’incubo dell’esclusione ho fatto i conti con la presunzione, l’arroganza, l’orgoglio, la supponenza, la viltà. È così che sono giunto al giorno della prova orale: più umile, più comprensivo, più affidabile, più responsabile, più forte; finalmente consapevole della dignità acquisita in quel lungo percorso che, iniziato tanti anni prima, ero riuscito a portare a compimento.