Lo strano caso della “Vecchia signora con veletta” di Andrea Raccagni
in Tribunale Bologna 27/07/1995 e Corte d’Appello Bologna 13/03/1997
L’art. 20, 1° c., della L. 633/1941 dispone che, indipendentemente dai diritti esclusivi di utilizzazione economica dell’opera, ed anche dopo la loro cessione, l’autore conservi il diritto di rivendicare la paternità dell’opera e di opporsi a qualsiasi deformazione, mutilazione od altra modificazione, e a ogni atto a danno della sua opera, che possano essere di pregiudizio al suo onore o alla sua reputazione.
Un caso molto curioso in cui è stata applicata questa disposizione è quello di Andrea Raccagni che si trovava costretto a citare in giudizio la Banca Imolese perchè un suo dipinto, intitolato “Vecchia signora con veletta”, di proprietà della banca, era stato distrutto per futili ed incomprensibili motivi: secondo il suo autore, infatti, il quadro era stato volontariamente bruciato dai dipendenti della banca perchè ritenuto responsabile di influenze nefaste, dimostrate anche dal suicidio del precedente proprietario.
Costituitasi in giudizio la banca tuttavia negava che la distruzione fosse stata motivata dalla superstizione, allegando, invece, che il quadro era andato distrutto, per caso fortuito, nel corso dei lavori di ristrutturazione dell’immobile in cui era stato collocato.
Il Tribunale investito della questione rigettava le domande dell’artista. Il Giudice accoglieva invece la tesi della banca come più probabile e riteneva che la distruzione fortuita di un quadro da parte del legittimo proprietario nel corso di lavori di ristrutturazione non fosse idonea a pregiudicare la reputazione e l’onore dell’artista e non costituisca, dunque, lesione del suo diritto morale.
Raccagni impugnava la decisione ma anche la Corte d’appello gli dava torto, con una motivazione piuttosto sbrigativa: per il Giudice di secondo grado negare all’acquirente dell’opera d’arte il diritto di disfarsene quando lo ritenga opportuno, o pretendere che debba rispondere della sua perdita nei confronti del suo autore, importerebbe una limitazione all’esercizio del diritto di proprietà che non trova riscontro in alcuna norma e che rappresenterebbe un vincolo ingiustificato alla circolazione delle opere. Il tutto senza considerare in alcun modo l’art. 20, 1° c., della L. 633/1941 citato all’inizio che, come visto, afferma un principio molto diverso da quello applicato dalla Corte d’appello.