Quello tra Napoli e la street-art è un legame profondo e diffuso. Tutta la città è coperta dai ritratti di Totò, di Troisi, di San Gennaro, di Pino Daniele, di Luciano De Crescenzo e, soprattutto, da quelli, numerosissimi, di Maradona. A Napoli c’è l’unica opera conosciuta in Italia di Banksy, oltre a quelle di Jorit, Blu, Mario Filardi, Francisco Bosoletti e tanti altri. C’è addirittura un parco, il Merola di Ponticelli, soprannominato il parco dei murales.
Non deve quindi stupire il fatto che, nel 2020, a pochi mesi l’una dall’altra, due nuove opere compaiono sui muri della città: la prima è quella dello street artist e rapper Mario Casti, autore, tra l’altro, di numerosi ritratti di Maradona molto apprezzati, ma che, questa volta, ritrae Luigi Caiafa, un diciassettenne morto pochi giorni prima durante un tentativo di rapina.
La seconda è di Leticia Mandragora e raffigura Ugo Russo, morto anch’egli, appena quindicenne, durante una rapina.
Entrambe, insieme ad altre opere murali simili e agli altarini sorti spontaneamente per ricordare i tanti giovani morti con violenza nelle strade della città, diventano oggetto di un vero e proprio braccio di ferro con le istituzioni: Comune, Prefettura e Regione vogliono cancellare queste testimonianze; per evitare eventuali fenomeni di emulazione, a sentire loro; per non lasciare segni dei loro fallimenti, se si ascoltano gli artisti e i familiari delle vittime.
Quello che ritrae Ugo Russo, poi, diventa oggetto di una controversia che si trascina fino al Consiglio di Stato.
Per la Sentenza che decide il caso, la n. 1289 del 07/02/2023, indipendentemente dall’eventuale pregio artistico dell’opera e da altre considerazioni extra giuridiche, del tutto irrilevanti ai fini della decisione, che deve invece basarsi esclusivamente sulla disciplina amministrativa in generale e su quelle edilizia e vincolistica in particolare, un dipinto murale costituisce obiettivamente una trasformazione della facciata di un palazzo.
Per il suo carattere innovativo il dipinto murale non può pertanto essere qualificato alla stregua di una semplice attività manutentiva ordinaria rientrante nell’attività edilizia libera: al punto 2 dell’allegato al D.M. 2 marzo 2018 a tale categoria è infatti ricondotta solo la tinteggiatura finalizzata a ripristinare la colorazione preesistente “senza modifiche dei preesistenti oggetti, ornamenti, materiali e colori”.
È invece pacifico che un dipinto murale è destinato a caratterizzare innovativamente la facciata stessa in modo immediatamente ed evidentemente percepibile alla vista comune e modifica radicalmente caratteristiche, posizioni, forme e colori rispetto a quelli preesistenti.
L’opera murale di grandi dimensioni, come quella di cui si tratta, non può quindi ricondursi alla categoria dell’edilizia libera.
Per la sua realizzazione è pertanto necessario premunirsi di un valido titolo abilitativo edilizio perchè altrimenti l’intervento pittorico deve considerarsi come abusivo e, come tale, dovrà essere rimosso, come in effetti accaduto per entrambe le opere, più e più volte, perchè ogni volta che sono state cancellate, il giorno dopo ricomparivano altrove.